16 Gen Un caso di Disturbo dell’adattamento Con umore depresso
“E’ un’ingiustizia: sono stata licenziata”
Un caso di Disturbo dell’adattamento Con umore depresso
La signora Teresa ha avuto il mio nominativo da una conoscente comune e mi contatta telefonicamente chiedendomi un appuntamento. Incontro T. nel giugno del 2016, arriva in perfetto orario all’appuntamento. Si presenta curata nell’aspetto, il viso ha un’espressione triste, la postura è rigida. Riferisce di stare male da circa 2 mesi, a causa di un ingiusto licenziamento. T. era cassiera da 18 anni presso un supermercato appartenente ad una catena molto famosa nel territorio nazionale. T. afferma, con voce quasi rotta e trattenendosi dal pianto: “ho sempre cercato di svolgere il mio lavoro con la massima precisione, non ho mai chiesto permessi o rifiutato di fare straordinari anche se sottopagati, però adesso vedendo come sono andate le cose, me ne pento amaramente, perché solo ora capisco che questo mio modo di fare ha rubato tempo al rapporto con mio figlio”! Le motivazioni del licenziamento sarebbero dovute alla crisi, e dunque alla necessità per l’azienda di una riduzione del personale. T. mi racconta anche che fino al licenziamento, era sempre stata lei a portare i soldi a casa, in quanto suo marito aveva sempre svolto dei lavori saltuari ed essendo più libero era stato lui a badare al bambino quando lei lavorava. In questi anni lavorativi, T. non si è mai concessa molte distrazioni, arrivava troppo stanca a casa e perciò spesso era costretta a rifiutare gli inviti delle amiche nelle uscite serali. Con il passare del tempo si è ritrovata a non avere molte amicizie, per lei era rimasto solo il lavoro. In seguito al licenziamento T. presenza segni di disagio legati al non voler accettare l’evento, un fatto che secondo la stessa risulta ingiusto per il fatto che non toccava a lei essere licenziata, ma ad altre due persone che erano state assunte dopo di lei. L’aver dedicato anima e corpo in questo lavoro e l’essere ripagata in questo modo, le ha generato sofferenza e al tempo stesso rabbia. T. ha iniziato a manifestare segni di cedimento emotivo, con pianti giornalieri e umore deflesso. Nonostante lei stessa cercava di tirarsi su di morale, convincendosi che la situazione potrebbe in qualche modo sbloccarsi, i tentativi risultavano vani. Chiede pertanto un aiuto psicologico al fine di essere sostenuta in questo momento per lei estremamente delicato.
Dopo alcune sedute di Assessment in cui vengono anche somministrati dei test (MMPI-2, CBA, Inventario della Depressione di Beck, diario dei pensieri) ho raggiunto la seguente ipotesi diagnostica secondo il DSM-5:
* Disturbo dell’Adattamento con Umore Depresso 309.0 (F43.21).
Caratteristica fondamentale del Disturbo dell’Adattamento riguarda la presenza di sintomi emotivi o comportamentali in risposta a un evento stressante identificabile; nel caso in questione l’evento stressante fa riferimento al licenziamento subìto, secondo un’ingiusta causa per la paziente. T. in seguito all’evento stressante, avvenuto nei due mesi precedenti, ha così iniziato a manifestare una sofferenza elevata e sproporzionata rispetto alla gravità dell’evento, con sintomatologia depressiva manifestata tramite umore basso, crisi di pianto, difficoltà di concentrazione e disturbi del sonno.
Ad oggi, il modello esplicativo di Beck è la formulazione più nota in clinica e nella ricerca, il suo protocollo terapeutico rimane il più efficace per i disturbi depressivi, costituendo la base dell’intera terapia cognitiva. Secondo tale modello cognitivo tutte le persone hanno pensieri automatici, ma ciò che caratterizza quelli del paziente depresso è il loro contenuto: negativo e con temi di fallimento, autocritica, insuccesso, incapacità, indegnità e non amabilità (Beck, 1967, 1976). L’identificazione dei pensieri automatici negativi permise di dimostrare la presenza, nel paziente depresso, di un generalizzato negativismo in se stesso, nel mondo che lo circonda e nella propria prospettiva futura. Questa visione negativa di sé, del mondo e del futuro, che venne da lui chiamata “triade cognitiva”, costituisce il contenuto tematico cognitivo specifico e distintivo del disturbo depressivo. Analizzando i racconti dei pazienti depressi, Beck osservò che, oltre alla triade cognitiva, contenevano anche una serie di distorsioni della realtà, che chiamò errori cognitivi o distorsioni (biases), che il paziente compie abitualmente nel costruire il significato delle proprie esperienze interne ed esterne. «Il paziente compie automaticamente un’interpretazione negativa d’una situazione, anche se esiste una spiegazione più ovvia e più plausibile. Egli modifica i fatti per adattarli alle proprie conclusioni negative precostituite» (Beck 1967, p. 308).
La terapia cognitivo-comportametale modifica questa modalità di pensare, questo stile cognitivo distorto, cambiando la lettura delle esperienze negative ed insegnando alla persona ad affrontarle.
Nel caso in questione, si può affermare che T. aveva ricevuto un’educazione poco flessibile, basata su una comunicazione carente e in cui le emozioni non venivano espresse liberamente. Quest’educazione un po’ bigotta improntata sul rispetto e sulle responsabilità, aveva portato la paziente a non sviluppare adeguate capacità di coping e problem solving. L’evento stressogeno (il licenziamento) avrebbe fatto riemergere nella paziente paure legate a sentimenti di forte responsabilità, doverizzazioni e aspettative elevatissime nei confronti di se stessa. Dunque, la mancanza di risorse adeguate a gestire l’imprevedibilità dell’evento non le hanno permesso di fronteggiare l’evento stressante in maniera adattiva e funzionale. La preoccupazione principale riguardava il non riuscire a garantire una certezza economica al proprio bambino. T. però è anche una donna intelligente, con buone capacità introspettive. La sua è una richiesta d’aiuto spinta da una forte motivazione al cambiamento, in quanto si rende conto che la sua reazione emotiva è eccessiva. La paziente riconosce di avere risorse e capacità, anche se al momento non sa come utilizzarle.
Sulla base del modello di Beck ho così definito la strategia terapeutica, secondo me, più adatta per T., nell’intento di metterla nella condizione di trarre nuovamente soddisfazione e piacere dagli eventi positivi della vita, partendo dalle attività quotidiane e proponendo cambiamenti nella sua vita. Nel corso dei primi mesi di terapia il tono dell’umore si è mantenuto piuttosto basso, anche se dei progressi, seppur minimi, ci sono stati.
Molti incontri sono stati dedicati alla spiegazione dell’influenza del pensiero sulle emozioni e sul comportamento e di quanto, pertanto, sia fondamentale definire i nostri pensieri per capire perché ci sentiamo e agiamo in un certo modo.
Tra le convinzioni disfunzionali emerse in T.: “devo mantenere la famiglia, altrimenti non potrò assicurare un futuro a mio figlio”; “devo essere una perfetta moglie”; “è terribile non essere meritevoli d’amore e di rispetto”; “è necessario che non deluda nessuno”.
La terapia ha permesso a T. di comprendere che ciò che lei pensava non corrispondeva alla realtà dei fatti e che i suoi pensieri automatici costituivano solo una delle tante interpretazioni degli eventi. Grazie poi alla tecnica della ristrutturazione cognitiva, le convinzioni disfunzionali sono state via via sostituite con convinzioni alternative più razionali. Attraverso questa tecnica la paziente è diventata maggiormente consapevole delle eccessive critiche sia nei confronti di se stessa che degli altri, delle sue esagerazioni e degli errori cognitivi che metteva sistematicamente in atto generando una distorsione della realtà. T. rimuginava continuamente su come avrebbe potuto risollevare le sorti della sua famiglia, non considerando che il licenziamento le stava anche dando la possibilità di dedicarsi maggiormente a quella famiglia che lei riteneva di aver trascurato per anni.
Di seguito riporto uno stralcio di colloquio:
Teresa: Senza un lavoro stabile, come posso continuare a pagare il mutuo e garantire una certezza economica a mio figlio?
T: Sicuramente in questo momento lei e suo marito state attraversando un periodo di crisi economica e non è una cosa piacevole, certo! Ma la situazione è in mano agli avvocati e non è detto che le cose vadano male… al tempo stesso, questo licenziamento cosa le sta permettendo di fare, che possibilità le sta dando?
Teresa: Sto trascorrendo più tempo con mio figlio e con mio marito… mi prendo cura di loro, era da tempo che desideravo farlo solo che le mie preoccupazioni non mi permettono di godermi i momenti con loro per come vorrei…
T: Quindi quando lavorava, desiderava stare a casa con la sua famiglia, adesso che è a casa vorrebbe lavorare?
Teresa: (accenna un sorriso) Si può avere tutto dalla vita? Forse no…
T: Possiamo iniziare ad apprezzare le cose che la vita ci dà, adesso la vita le sta dando l’opportunità di recuperare il tempo perso con la sua famiglia… pensa di poterne approfittare?
Teresa: Certo… ne dovrei approfittare…
Con il progredire della terapia la paziente ha compreso che il licenziamento ha sicuramente arrecato a lei e alla sua famiglia un danno da un punto di vista economico ma che al tempo stesso si era persa molto… troppo nella crescita del suo bambino e anche nel rapporto con suo marito. Adesso ha più tempo da dedicare a entrambi e da un punto di vista affettivo si sente più serena e ripagata. Attraverso il training assertivo la paziente ha iniziato ad esprimere con meno riserve le proprie opinioni, a prendersi maggiormente cura di sé fisicamente ed emotivamente, cosa che non faceva da tempo ed ha imparato a riconoscere le proprie qualità e realizzazioni, senza focalizzare l’attenzione solo su ciò che aveva perso. Grazie alla tecnica del problem solving T. ha pure iniziato ad inquadrare i problemi secondo una prospettiva più ampia e flessibile e non a valutare le situazioni come irrisolvibili e senza speranza mostrandosi molto abile nell’identificare i pro e i contro delle varie soluzioni.
Nell’ultimo periodo della terapia, la paziente ha notevolmente migliorato il quadro sintomatologico depressivo e si è proceduto con il consolidare i cambiamenti ottenuti. Più serena emotivamente e maggiormente consapevole del percorso effettuato, T. ha iniziato, senza grosse aspettative, a ricercare un nuovo lavoro che la impegnasse anche mezza giornata al fine di aiutare il marito nel sostentamento delle spese familiari. La paziente in attesa che la giustizia facesse il suo corso, ha molto lavorato su di sé, sul miglioramento del suo aspetto fisico, sulla sua capacità di adattamento allo stress e ai cambiamenti inaspettati; ha ripreso i contatti con delle amiche che non sentiva da tempo, riallacciando così dei rapporti abbastanza significativi, in quanto a causa del lavoro aveva messo da parte delle relazioni amicali che comunque la facevano stare bene da un punto di vista emotivo; ma soprattutto ha soddisfatto il suo bisogno di sentirsi mamma e moglie, due ruoli che per anni aveva sacrificato per garantire una sicurezza economica alla famiglia. I sensi di colpa nei confronti del figlio, sono andati via via affievolendo, in quanto anche il bambino, grazie al miglioramento nella qualità dei rapporti intrattenuti con la madre, ha cambiato l’atteggiamento capriccioso e quasi aggressivo nei suoi confronti con un comportamento più amorevole e affettuoso. T. alla fine della terapia sembra una donna più serena, meno doverizzata, più consapevole del ruolo che ricopre all’interno della famiglia ma soprattutto più sicura di quello che è e di quello che desidera dalla vita: il benessere della sua famiglia, non più solo secondo una prospettiva economica ma soprattutto secondo un ottica di qualità delle relazioni basate sull’amore e l’affetto. È come se T. fosse venuta a conoscenza di un nuovo mondo che prima disconosceva, un mondo fatto di persone che possono permettersi di sbagliare e soprattutto di flessibilità e apertura mentale.